G. Leopardi: "L’Infinito" - Testo, Commento e Analisi del componimento

significato, commento e analisi

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  1. punKt89
     
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    G. Leopardi: "L’Infinito" - Testo, Commento e Analisi del componimento




    « Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
    e questa siepe, che da tanta parte
    dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
    Ma sedendo e mirando, interminati
    spazi di là da quella, e sovrumani
    silenzi, e profondissima quiete
    io nel pensier mi fingo; ove per poco
    il cor non si spaura. E come il vento
    odo stormir tra queste piante, io quello
    infinito silenzio a questa voce
    vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
    e le morte stagioni, e la presente
    e viva, e il suon di lei. Così tra questa
    immensità s'annega il pensier mio:
    e il naufragar m'è dolce in questo mare.
    »
    (Giacomo Leopardi, L'infinito)


    L'Infinito è una poesia di Giacomo Leopardi scritta durante il suo giovanile soggiorno a Recanati, nelle Marche. Quest'opera fu scritta tra il 1818 ed il 1821, molto probabilmente nel periodo tra la primavera e l'autunno del 1819.
    Quest'opera appartiene alla serie di scritti pubblicati nel 1826 con il titolo di Idilli. Oltre all'Infinito, in questa serie sono presenti anche opere come Alla luna e La sera del dì di festa. Nonostante l'uso di un termine greco che solitamente indicava componimenti poetici caratterizzati dalla descrizione di scene di vita campestre, l'autore non ha come obiettivo la descrizione della natura: pur partendo dalla natura, il poeta ha come obiettivo l'espressione dei suoi stati d'animo più profondi.


    Stile dell'opera

    Questa poesia si compone di quindici versi endecasillabi, interrotti da numerosi enjambements, che idealmente ampliano il significato di un periodo annullando la pausa del ritmo. L'Infinito, infatti, si compone di quattro lunghi periodi, di cui solo il primo e l'ultimo terminano alla fine di un verso. Il gioco di allitterazioni ed assonanze, poi, regala alla composizione una musicalità interiore, in tema con l'argomento trattato.
    L'uso di termini vaghi serve a dare una sensazione di indefinito spazio-temporale che è necessaria a concentrarsi sull'io, e che sollecita l'immaginazione del lettore. È da notare l'impiego di dimostrativi come "questo" o "quello", tesi a descrivere la lontananza dell'oggetto sul piano soggettivo e non su quello oggettivo.
    L'autore si serve anche di numerose figure retoriche per sottolineare la musicalità del componimento: iperbati, e metafore danno al componimento un'espressività unica e ammirevole.


    Significato del componimento

    L' idillio si configura come uno studio visivo-prospettico degli elementi del paesaggio per produrre nel lettore la suggestione "dell' Infinito". La vaghezza del linguaggio, basata sull' uso di parole di significato indeterminato, le quali, più che precisare le cose secondo le categorie di spazio e di tempo, ne sfumano i contorni, e con il caratteristico vocabolario leopardiano (ermo, interminati, sovrumano, ecc..) producono quella poesia dell' indefinito che è spesso funzionale a quella dell' infinito.
    Nell'Infinito Leopardi si concentra decisamente sull'interiorità, sul proprio io, e lo rapporta ad una realtà spaziale e fisica, in modo da arrivare a ricercare l'Infinito. L'esercizio poetico, dunque, si pone come superamento di ogni capacità percettiva, di cui la natura è il limite (rappresentato dalla siepe). Tra la minaccia del silenzio (e sovrumani / silenzi, e profondissima quiete / io nel pensier mi fingo, ove per poco / il cor non si spaura versi dal 5 all'8) e la sonorità della natura (E come il vento / odo stormir tra queste piante, versi 8 e 9), il pensiero afferra l'inafferrabile universalità dell'Infinito, superando la contingenza di ciò che ci circonda, che è l'esperienza fortemente voluta dall'autore.
    Il poeta, seduto davanti ad una siepe, immagina oltre questa spazi interminabili, che vanno oltre anche la linea dell'orizzonte che la siepe in realtà nascondeva. Richiamato alla realtà da un rumore, da una sensazione uditiva, estende il suo fantasticare anche nell'immensità del tempo. L'Infinito, dunque, ha una duplice valenza: spaziale e temporale.
    L'Infinito, nella visione leopardiana, non è un infinito reale, ma è frutto dell'immaginazione dell'uomo e, quindi, da trattare in senso metafisico. Esso rappresenta quello slancio vitale e quella tensione verso la felicità connaturati ad ogni uomo, diventando in questo modo il principio stesso del piacere. L'esperienza dell'Infinito è un'esperienza duplice, che porta chi la compie ad essere in bilico tra la perdità di sé stesso (Così tra questa / immensità s'annega il pensier mio versi 13 e 14) e il piacere che da ciò deriva (e il naufragar m'è dolce in questo mare verso 15).
    Per l'autore il desiderio di piacere è destinato a rinnovarsi; ricercando sempre nuove sensazioni, scontrandosi inevitabilmente con il carattere provvisorio della realtà, per terminare al momento della morte. Secondo questa teoria (teoria del piacere), espressa nello Zibaldone, l'uomo non si può appagare di piaceri finiti, ma ha necessità di piaceri infiniti nel numero, nella durata e nell'estensione: tali piaceri, però, non sono possibili nell'esperienza umana. Questo limite, tuttavia, non persiste nel campo dell'immaginazione, che diventa una via d'accesso ad un sentimento di piacere (espresso nell'ultimo verso) nella fusione con l'infinità del mare dell'essere.
    È importante notare, tuttavia, che l'infinito leopardiano non è simile a quello di altri poeti romantici, in cui esso era straniamento dalla realtà per mezzo della semplice fuga nell'irrazionalità e nel sogno: la scoperta e l'esperienza dell'Infinito sono processi immaginativi sottoposti al controllo razionale. Il soggetto, cioè, crea consapevolmente il contrasto tra ciò che è limitato e ciò che è illimitato (l'ostacolo e l'infinito spaziale), e tra ciò che è contingente e ciò che è eterno.
    Tale considerazione ci porta a contemplare quello che è il pessimismo dell'autore: egli è consapevole della vanità del suo tendere, sa che tutto è frutto della sua immaginazione, per quanto questa situazione sia dolce.


    Analisi del componimento

    Tutto l’idillio è dominato, sia dal punto di vista stilistico che da quello grammaticale-sintattico, dalla giustapposizione ed accostamento di elementi, che fa da pendant ad una struttura distesamente paratattica, basata cioè sulla coordinazione, del discorso: nei vv. 1-2 "quest’ermo colle / E questa siepe", dove si nota anche lo zeugma nella concordanza tra i due termini e "Sempre caro", nel v. 4, "sedendo e mirando", che mette in relazione i due gerundi nei quali è condensata la situazione da cui origina il testo poetico: l’atto di sedere e di guardare al di là della siepe; nei vv. 5-6, dove, all’enumerazione di oggetti retti da "io nel mio pensier mi fingo", posticipato al v. successivo secondo una costruzione molto frequente nella poesia leopardiana, si accompagna l’uso dell’allitterazione in "s" ("Spazi... sovrumani / Silenzi, e profondissima"), e gli enjambement consecutivi dei vv. 4-5 e 5-6.
    Il v. 8 fa da spartiacque tra la prima parte, dominata dalla descrizione, e la seconda, dove il discorso prende un andamento più interiore e si arricchisce via via di quei significati che sono il risultato del convergere dei motivi che sono tipici del pensiero leopardiano contemporaneo: la similitudine con la natura ("E come il vento...") e il tema del ricordo che dà luogo all’enunerazione più lunga del componimento, quella dei vv. 11-13: "e mi sovvien l’eterno, / E le morti stagioni, e la presente / E viva, e il suon di lei", dove balza all’occhio come la parola "silenzio", che al v. 6 si trovava correlata a "profondissima quiete", è ora messa in relazione con "voce" e che il termine "infinito", che dà il titolo all’idillio apre il v. 10 come aggettivo concordato con silenzio mentre in chiusa Leopardi preferisce avvalersi del sostantivo "immensità".
    L’enumerazione dei vv. 11-13 dà luogo, tra i vv. 12-13 anche all’anafora di "E", che richiama quella del v. 2 e viene richiamata ancora al v. 15. Molto misurata è la poesia nell’uso degli aggettivi, quasi sempre attinenti alla sfera dell’indeterminato o di grado superlativo ("ultimo", nel senso per esempio di "estremo", "interminati", "sovrumani", "profondissima", dove la quiete acquista un’estensione spaziale che completa il precedente "sovrumani spazi", "infinito", "eterno"). Spiccano pertanto il "caro" del v. 1 e il "dolce" del v. 15 attraverso i quali si compie la parabola dello straniamento tracciata nell’"Infinito": il colle e la siepe, schermo materiale e opaco, si dissolvono lasciando il posto al mare dell’immensità dove il pensiero naufraga come in un abbraccio con la natura e con i ricordi; mentre tutto interno a questo percorso è l’accostamento tra "morte stagioni" e "viva" dei vv. 12-13, specchio dell’opposizione tra il passato e il presente.


    Fonte: Wikipedia.it

     
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  2. tino96
     
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    ciao amo tutti
     
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  3. none75
     
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    lavoro davvero notevole :) forse hai usato termini un po' troppo difficili che non sono comprensibili a tutti!
     
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2 replies since 17/2/2009, 14:11   35745 views
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