Cos'è l'AIDS - Sintomi e terapia

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    AIDS



    La Sindrome da Immunodeficienza Acquisita (da cui l'acronimo SIDA in francese e in spagnolo o Acquired Immune Deficiency Syndrome (AIDS in inglese, utilizzato anche all'estero) è un insieme di manifestazioni dovute alla deplezione ossia la diminuzione del numero di linfociti T derivante da infezione con virus HIV-1 o HIV-2.


    Descrizione

    La malattia presenta diversi quadri clinici:

    AIDS (acquired immuno-deficiency syndrome): sindrome da immunodeficienza acquisita
    PLG o LAS (persistent generalized lymphadenopathy): linfadenopatia generalizzata persistente
    ARC (AIDS related complex): complesso di sintomi correlati all'AIDS
    ADC (AIDS dementia complex): demenza collegata all'AIDS

    Tra queste manifestazioni sono comprese infezioni da microrganismi e l'insorgenza di tumori sia comuni nella popolazione generale sia caratteristici delle persone immunocompromesse. L'agente eziologico della patologia è il virus HIV. La sindrome è, allo stato attuale, curabile con numerosi farmaci ma non ancora guaribile, non è possibile infatti eradicare totalmente il virus dall'organismo che lo ospita. Le terapie odierne, di gran lunga meglio tollerabili di quelle usate al momento dell'emergenza nei primi anni ottanta, riescono a ridurre la viremia (quantità di virus presente nel sangue) a livelli bassissimi o non rilevabili consentendo la rigenerazione dei linfociti e la prosecuzione di una vita esente dalle malattie opportunistiche che normalmente si presentano nelle persone non curate. L'andamento clinico-patologico della sindrome è estremamente variabile tra gli individui perché la progressione dell'infezione dipende dall'età, da fattori genetici del virus o dell'ospite, dalle condizioni igieniche e dalla presenza di co-infezioni. Nei paesi in cui le cure antiretrovirali e quelle per le infezioni opportunistiche e neoplastiche sono maggiormente disponibili, o, come in Italia, sostenute dal SSN, la mortalità dell'AIDS è ridotta, non mancano però i problemi causati dagli effetti collaterali, dallo sviluppo della resistenza ai farmaci e dalla scarsa aderenza ai regimi terapeutici prescritti.


    Epidemiologia

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    Si pensa che la sindrome abbia avuto origine nell'Africa subsahariana per mutazione di un retrovirus animale, forse della scimmia, che nel XX secolo fu trasmesso alla popolazione umana provocando poi una epidemia globale. Il primo caso documentato di AIDS risale al 1959, quando la presenza del virus dell'HIV fu riscontrata in un campione di sangue proveniente da Kinshasa, città della Repubblica democratica del Congo. La UNAIDS e il WHO hanno stimato che ci siano stati 25 milioni di morti dalla scoperta della sindrome, il che ne ha fatto una delle più terribili epidemie della storia. Solo nel 2005 sono stati stimati circa 3,1 milioni di morti di cui 570.000 bambini.
    Globalmente, si stima che le persone affette dall'HIV siano 33 milioni circa (fonte UNAIDS, 2007). Solo nel 2005, tra i 4,3 e i 6,6 milioni di persone sono stati infettate e tra i 2,8 e i 3,6 milioni di persone sono decedute per l'AIDS. Il valore più alto dal 1981.
    Il più recente report di valutazione del World Bank's Operations Evaluation Department valuta l'efficacia dell'assistenza offerta dalla Banca Mondiale agli stati, in termini di definizione delle strategie, lavoro analitico e prestiti con l'esplicito obiettivo di ridurre l'impatto epidemico dell'AIDS. Questa è la prima valutazione generale dell'aiuto della Banca Mondiale alle nazioni, dall'inizio dell'epidemia di HIV/AIDS fino a metà del 2004. Trattando di implementazioni di programmi governativi per i governi, il rapporto fornisce indicazioni su come i programmi nazionali per la lotta all'AIDS possono essere resi più efficaci.
    Nei paesi dell'Africa subsahariana vi sono circa 25-28 milioni di persone infette da HIV, più del 60% di tutta la popolazione malata di aids e più dei tre quarti delle donne. In America latina e nell'area caraibica, nello scorso anno, vi sono state circa 2.000 infezioni che hanno portato il numero dei sieropositivi a circa 2 milioni. Con i suoi 100.000 morti tale area risulta la più colpita dopo l'Africa subsahariana.
    In medio oriente ed in Nordafrica, ad eccezione del Sudan, tutta l'area presenta una prevalenza di HIV bassa. Attualmente vi sono circa 600.000 infetti dal virus (compresi i 55.000 che si sono aggiunti lo scorso anno) e nel 2003 l'AIDS ha ucciso circa 45.000 persone.
    Nei paesi dell'Europa dell'Est e dell'Asia Centrale l'epidemia è in espansione con 1,3 milioni di persone sieropositive contro le 160.000 del 1995.


    Patogenesi

    Ciò che l'infezione virale provoca è la comparsa di uno stato infiammatorio cronico che si risolve in un deficit funzionale e quantitativo del sistema immunitario. Sebbene una risposta immune particolarmente forte possa essere utile per controllare la replicazione virale, il mantenimento di un tale stato nel corso del tempo può portare a un progressivo esaurimento e deplezione cellulare.
    Evento centrale nella patogenesi dell'infezione da HIV è l'interessamento della linea linfocitaria.
    Effettivamente oltre alla riduzione numerica si notano anche vari fenomeni imputabili alla riduzione funzionale dei linfociti T:

    Riduzione della risposta proliferativa alla stimolazione antigenica,
    Sbilanciamento della risposta Th1 a favore di quella Th2. Ciò determina una riduzione dell'immunità cellulare a tutto vantaggio di quella umorale,
    Mancanza o riduzione della risposta T ad opera di antigeni cui si era precedentemente suscettibili. Si ipotizza che ciò possa essere dovuto ad una precoce deplezione dei linfociti CD4 di memoria probabilmente a causa della loro alta espressione del recettore CCR5.

    Attualmente si ritiene che tutti questi fenomeni non abbiano una base univoca ma multifattoriale:

    è noto che l'HIV sia in grado di uccidere direttamente la cellula per lisi (effetto citopatico). Ciò potrebbe avvenire per accumulo eccessivo di particelle o materiale genetico o proteico di natura virale. Si pensa che a ciò si possa aggiungere un'inibizione eccedente dell'espressione proteica della cellula ospite
    l'HIV è in grado di generare sincizi per la fusione delle membrane cellulari di cellule infette tra loro oppure con cellule sane a causa del legame che si può formare tra gp120 e CD4. A seguito della fusione si determina un forte rigonfiamento e morte cellulare in poche ore. Sembrerebbe che la capacità di formare sincizi sia limitata solo ai ceppi T-tropici di HIV-1.
    la formazione di anticorpi contro proteine dell'envelope virale può essere responsabile della lisi di cellule esprimenti questi antigeni sulla loro superficie. Possono intervenire diversi fenomeni in quest'evento: la lisi mediata da linfociti T specifici o ad opera di cellule citotossiche (NK, granulociti, fagociti mononucleati),
    apoptosi linfocitaria. Questo fenomeno coinvolgerebbe sia i linfociti T CD4+ che quelli CD8+. Per i primi si sospetta il coinvolgimento del legame CD4-gp120 nella genesi del fenomeno cui si aggiunge l'attivazione linfocitaria per stimolazione del recettore per l'antigene (TCR) con conseguente aggregazione dei CD4 e scatenamento del fenomeno apoptotico. Nella genesi di questo fenomeno, tuttavia, sono coinvolti altri fattori. Varie proteine virali, env, vpr, nef, vpu e tat hanno dimostrato di indurre apoptosi in linfociti T non infetti sebbene tra essa si ritenga che in vivo l'azione più importante venga svolta da env. Anche l'attivazione del recettore CXCR4 riveste una certa importanza in quanto esso è in grado di indurre una cascata molecolare apoptotica indipendente dal recettore Fas. Altri studi, inoltre, hanno dimostrato che l'attivazione di CXCR4 è un evento importante nello sviluppo dell'apoptosi sia dei linfociti CD4+ che CD8+.
    perdita dei precursori delle cellule immunitarie. Si ritiene che ciò possa avvenire o per infezione diretta delle o di cellule progenitrici situate nel timo o di cellule accessorie capaci di secernere citochine e fattori necessari al processo di differenziazione.
    si è notato un certo grado di omologia tra gp120, gp41 e gli antigeni HLA-DR e HLA-DQ. Ciò ha portato ad ipotizzare che eventuali anticorpi contro le proteine virali possano cross-reagire con le proteine HLA espresse su linfociti specifici determinando, così, un blocco del legame di quest'ultimi con il recettore CD4 delle cellule infette cui segue un'inibizione di tipo funzionale,
    sembrerebbe che il legame di gp120 o gp41 sul CD4 sia in grado di inibire la funzione dei linfociti T helper rendendoli incapaci di rispondere alla stimolazione mediata da CD3,
    possibile legame di superantigeni di origine virale alla catena b del TCR con conseguente anergia linfocitaria.
    In corso di infezione da HIV vengono a crearsi due compartimenti virologici distinti ma comunicanti:
    un compartimento attivo costituito dal virus libero nel sangue e da quello contenuto all'interno di linfociti caratterizzato da una replicazione virale elevata,
    un compartimento di latenza costituito da linee cellulari e zone anatomiche dell'organismo dove il virus resta in uno stato latente e che fungono, perciò, da serbatoi (reservoir).
    Se il compartimento attivo gioca un ruolo importante nel danneggiare il sistema immunitario, quello di latenza è il principale responsabile della mancata eradicazione del virus dall'organismo.
    I reservoir di HIV vengono suddivisi in cellulari ed anatomici.
    Quelli cellulari sono costituiti dalle cellule follicolari-dendritiche, dai linfociti CD4+ quiescenti e dai monociti-macrofagi.
    Dei reservoir anatomici fanno parte, invece, il sistema nervoso centrale ed i testicoli (sebbene altri compartimenti dell'organismo siano sospettati di avere una funzione simile).
    Le cellule follicolari dendritiche sembrano avere un ruolo importante, almeno nelle prime fasi dell'infezione, a causa della loro funzione di presentazione dell'antigene, nel portare il virus a contatto con gli organi linfoidi o i linfociti CD4+. Oltre a ciò si è visto che sono capaci di trattenere sulla loro superficie un elevato quantitativo di virioni. Tuttavia in corso di terapia antiretrovirale tale numero si riduce drasticamente a tal punto che qualche autore sostiene che esse, in corso di terapia antiretrovirale efficace, perdano la loro funzione di reservoir o, al massimo, che diventi di secondo piano. È da notare, tuttavia, che tale conclusione non è unanimemente condivisa.
    I linfociti CD4+ quiescenti possono essere infettati da HIV anche se le modalità di questo fenomeno non sono ancora chiare. I linfociti quiescenti vengono sottoposti a maturazione nel timo e da lì emergono rimanendo in uno stato latente fino all'incontro con l'antigene. Si ritiene che l'infezione col virus possa avvenire o nello stadio immaturo all'interno del timo (organo nel quale il virus è stato rintracciato) o nello stadio di quiescenza una volta completata la maturazione. In tal caso si ritiene che a causa dello stato di quiete della cellula il genoma virale si trovi nella forma non integrata. Un'altra ipotesi sostiene che il virus infetti linfociti attivi i quali, una volta concluso il loro stato di attività, possono andare incontro ad uno stato di latenza, ammesso che siano riusciti a sopravvivere. In tal caso il genoma virale si trova nella forma integrata anche se non si ha produzione di virioni.
    I monociti/macrofagi sono un compartimento sottoposto ad un'infezione cronica e produttiva da parte di HIV, essendo poco sensibili agli effetti citopatici del virus. La continua produzione virale e la capacità dei monociti di veicolare il virus in quasi tutto l'organismo rendono tale compartimento il più importante nel mantenimento dell'infezione. È noto,inoltre, che i monociti/macrofagi sono la principale fonte di virus in caso di interruzione o fallimento della terapia antiretrovirale.
    È noto che HIV si può ritrovare nel sistema nervoso centrale di individui infetti. Da alcuni dati si ipotizza che la penetrazione del virus possa avvenire in tempi molto precoci dopo l'ingresso nell'organismo. Nel sistema nervoso centrale l'infezione virale è limitata ai macrofagi ed alle cellule della microglia mentre gli altri tipi cellulari non sembrano essere coinvolti (tranne gli astrociti la cui infezione, come si è affermato precedentemente, non è produttiva). L'assoluta particolarità del sistema nervoso centrale quale elemento di riserva di HIV la si evince anche dal fatto che il virus in esso presente è genotipicamente e
    Il più delle volte l'exitus avviene a seguito delle infezioni opportunistiche tra cui più spesso per le polmoniti.


    La terapia

    Attualmente, l'infezione da HIV viene trattata con la cosiddetta highly active antiretroviral therapy (HAART) nella quale si utilizzano opportune combinazioni di farmaci antiretrovirali. Il suo utilizzo, a partire dal suo ingresso nel 1995, ha consentito di ridurre la morbilità e la mortalità degli individui che sono stati infettati dal virus. Tale terapia, inoltre, permette anche un miglioramento dei parametri immunitari con un netto aumento del linfociti CD4+ che sembra permanere fino a 4-5 anni cui si accompagna un abbassamento della carica virale plasmatica e liquorale.
    L'utilizzo della HAART, tuttavia, in uno studio preliminare condotto su dieci persone infette da HIV-2 sembra avere una minore efficacia rispetto ai risultati che si ottengono con HIV-1.
    Attualmente la terapia antiretrovirale utilizza farmaci appartenenti a quattro classi:

    gli inibitori della trascrittasi inversa, a loro volta distinti in inibitori nucleosidici, nucleotidici e non nucleosidici,
    gli inibitori della proteasi,
    gli inibitori della fusione,
    gli inibitori dell'integrasi.

    Gli inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa per esplicare la loro azione devono venir trifosforilati dalle chinasi endocellulari e successivamente competono con i desossinucleotidi endogeni durante il processo di retrotrascrizione. L'efficacia di tali composti dipende dalla concentrazione intracellulare loro e dei desossinucleotidi con cui si trovano a competere. Ciò significa che cellule come i macrofagi, che hanno un metabolismo limitato ed in conseguenza di ciò una concentrazione molto bassa di desossinucleotidi, sono assai sensibili all'azione di tali farmaci.

    Gli inibitori nucleotidici, di cui in Italia è registrato solo il Tenofovir si comportano come inibitori competitivi della trascrittasi inversa, come gli inibitori nucleosidici, ma, a differenza di quest'ultimi, presentano un gruppo fosfato legato ad una purina od una pirimidina. Ciò permette l'eliminazione della prima tappa di fosforilazione semplificando le tappe di metabolizzazione riducendole a due. Anche tale categoria di farmaci, così come gli inibitori nucleosidici, presenta un'azione maggiore sui macrofagi che sui linfociti infettati. Si è visto che l'indice terapeutico del Tenofovir sui monociti/macrofagi si aggira intorno a 15000 mentre sui linfociti si situa su 20.

    Gli inibitori non nucleosidici della trascrittasi inversa esplicano la loro attività legandosi direttamente al sito attivo dell'enzima determinandone il blocco dell'azione. Tali farmaci sono indipendenti dal metabolismo cellulare in quanto non necessitano di alcuna modificazione e non risentono della concentrazione di dessosinucleotidi. A seguito di ciò il loro effetto su monociti/macrofagi e linfociti sembra essere equivalente.

    Gli inibitori della proteasi vanno a bloccare l'ultima parte del ciclo replicativo di HIV in quanto impediscono la maturazione delle proteine virali. Ciò determina un blocco dell'assemblaggio e del rilascio di nuovi virioni. Un tale meccanismo d'azione fa sì che gli inibitori della proteasi siano utili in tutte quelle situazioni in cui le fasi iniziali del ciclo virale sono già passate rendendo perciò inutile l'uso degli inibitori della trascrittasi inversa. Una simile situazione si rinviene nei macrofagi i quali, come si è visto precedentemente, fungono da reservoir di HIV ai cui effetti citopatici sono poco sensibili. In tali cellule il genoma virale è già integrato in quello dell'ospite per cui gli unici composti in grado di bloccare la replicazione virale a questo livello attualmente sono gli inibitori della proteasi. Sfortunatamente la concentrazione efficace di questi composti sui monociti/macrofagi e maggiore di quella dei linfociti CD4+ attivi e spesso sono equivalenti alle massime concentrazioni plasmatiche raggiungibili in vivo. Ciò non solo può favorire la comparsa di effetti avversi ma può anche rendere ragione del fatto che in alcuni distretti dell'organismo l'inibizione della replicazione virale nei monociti/macrofagi ottenuta in tal modo sia incompleta.
    Gli inibitori della fusione sono una categoria di farmaci di cui, al momento, l'unico esponente è l'Enfuvirtide, determinano un blocco del processo di fusione del virus con la membrana della cellula ospite. Questo processo si articola in tre fasi: aggancio, legame ai corecettori e fusione delle membrane. Enfuvirtide è un peptide che mima un motivo della proteina gp41. Quando la proteina gp120 si aggancia ai suoi recettori, gp41 subisce una serie di cambiamenti conformazionali che culminano nella formazione di una struttura a tre foglietti β che funziona da ponte tra il virione e la cellula da infettare. Enfuvirtide determina un blocco della regione amino-terminale della gp41 impedendo la formazione dei tre foglietti.
    Gli inibitori dell'integrasi rappresentano una nuova categoria di farmaci che agiscono nella fase cosiddetta di "integrazione", ossia la fase in cui il DNA sintetizzato del virus si inserisce nel genoma della cellula ospite. Un esempio di questa classe di farmaci è il Raltegavir, che è stato anche il primo farmaco di questa categoria.


    Sintomatologia

    I primi sintomi dell'AIDS sono simili a quelli che si sviluppano in soggetti con un normale sistema immunitario. La maggior parte sono infezioni causate da batteri, virus, funghi, parassiti e altri organismi. Negli individui affetti da AIDS sono comuni le infezioni opportunistiche, e aumenta il rischio di sviluppare varie forme di tumore come il Sarcoma di Kaposi, tumori del cervello e linfomi. Sintomi comuni sono febbre, sudorazione specie notturna, ingrossamento ghiandolare, tremore, debolezza e perdita di peso. Senza il supporto terapeutico la morte sopravviene entro un anno. La maggior parte dei pazienti muore per infezioni opportunistiche dovute al progressivo indebolimento del sistema immunitario. Si ritiene che il trattamento terapeutico denominato HAART consenta un incremento dell'aspettativa di vita medio attorno ai 30 anni o, secondo alcuni studi, anche oltre.

    Definizione di AIDS e infezione da HIV

    Fin dal 1982 sono state coniate varie definizioni per il monitoraggio epidemiologico dell'infezione: tra queste la definizione Bangui e quella dell'Organizzazione Mondiale della Sanità datata 1994. Tuttavia, non sono da intendersi come utili per la classificazione clinica dei pazienti, in quanto non sono appropriate e specifiche. Il sistema di classificazione usato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità e quello del CDC Centers for Disease Control può essere utilizzato solo nei paesi sviluppati.

    Classificazione delle infezioni e malattie da HIV dell'OMS

    Nel 1990, l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha raggruppato i diversi tipi di casi definendo una scala per i pazienti affetti da HIV-1. Questa è stata aggiornata nel settembre del 2005. La maggior parte di queste infezioni opportunistiche può essere facilmente curata in soggetti altrimenti sani.

    Stadio I: l'infezione da HIV è asintomatica e non categorizzata come AIDS
    Stadio II: include minori manifestazioni mucocutanee e ricorrenti infezioni del tratto respiratorio superiore
    Stadio III: include diarrea cronica prolungata per oltre un mese, gravi infezioni batteriche e tubercolosi
    Stadio IV: include toxoplasmosi del cervello, candidosi di esofago, trachea, bronchi o polmoni e sarcoma di Kaposi; queste patologie sono usate come indicatori dell'AIDS.

    Sistema di Classificazione delle Infezioni da HIV secondo i CDC

    Negli USA, la definizione di AIDS è governata dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC). Nel 1993, i CDC allargarono la loro definizione di AIDS andando ad includere persone sane ma positive al test per l'HIV, e con un numero di linfocitiT CD4+ inferiore a 200 per µl di sangue. La maggioranza dei nuovi casi di AIDS negli Stati Uniti sono diagnosticati quando si ha un basso numero di linfociti T ed è presente una infezione da HIV.


    Manifestazioni cliniche dell'AIDS

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    Le principali patologie polmonari

    Polmonite da Pneumocystis jiroveci
    Tubercolosi
    Parotite

    Le principali infezioni del tratto gastro-intestinale

    Esofagiti
    Diarrea cronica

    Le principali patologie neurologiche

    Toxoplasmosi
    Leucoencefalite multifocale progressiva
    AIDS Dementia Complex


    Trasmissione

    Dagli inizi dell'epidemia, sono state individuate principalmente tre vie di trasmissioni dell'HIV:

    Sessualmente. La maggior parte delle infezioni del virus dell'HIV avvenne, e avviene tuttora, attraverso rapporti sessuali non protetti. La trasmissione sessuale può insorgere quando c'è contatto fra le secrezioni sessuali di un partner infetto con le mucose genitali, della bocca (cunnilingus e fellatio) o del retto dell'altro. Nonostante la probabilità di trasmissione non sia elevata, il grande numero di esposizioni di questo tipo fa sì che sia la causa prevalente della diffusione del virus.

    Sangue e suoi derivati. Questa via di trasmissione è particolarmente importante per gli utilizzatori di droghe introvenose, emofiliaci e riceventi di trasfusioni di sangue e suoi derivati. In particolare, la trasmissione si ha con lo stretto e diretto contatto tra ferite aperte e sanguinanti oppure in casi come lo scambio di siringhe infette, quindi il virus non si trasmette tramite contatti come strette di mano, abbracci, baci, morsi, graffi né tramite l'uso di rasoi o spazzolini da denti di persone sieropositive (se privi di tracce ematiche), anche se è comunque sempre consigliabile l'uso di strumenti di igiene personale individuali.
    Anche gli operatori del settore sanitario (infermieri, tecnici di laboratorio, dottori etc) sono coinvolti, sebbene più raramente. È interessato da questa via di trasmissione anche chi pratica o si fa praticare tatuaggi e piercing.
    Madre-figlio. La trasmissione del virus da madre a figlio può accadere in utero durante le ultime settimane di gestazione e alla nascita. Anche l'allattamento al seno presenta un rischio di infezione per il bambino. In assenza di trattamento, il tasso di trasmissione tra madre e figlio è del 25%. Tuttavia, dove un trattamento viene effettuato, combinandolo con la possibilità di un parto cesareo, il rischio è stato ridotto all'1%.
    L'HIV è stato trovato nella saliva, lacrime e urina di individui infetti, ma vista la bassa concentrazione del virus in questi liquidi biologici, il rischio di trasmissione è considerato trascurabile. Lo stesso vale per tosse, sudore, muco e feci.
    Si noti che il virus non si trasmette tramite vestiti, asciugamani, lenzuola, né tramite bicchieri, piatti o posate.
    Le zanzare, da sempre sospettate di essere un possibile veicolo di infezione, in realtà sono sostanzialmente innocue, sia perché il virus non si può replicare all'interno delle ghiandole salivari dell'insetto (trasmissione biologica) sia per via della bassissima probabilità di infezione: è stato calcolato che una persona dovrebbe essere punta da 10 milioni di zanzare (portatrici del virus) per avere una probabilità di essere infettato. Questa falsa credenza è diffusa nei paesi meno sviluppati. Le zanzare sono in effetti responsabili della trasmissione di altre patologie a eziologia virale come per esempio dengue e febbre gialla per le quali però si verificano epidemie stagionali.
    La zanzara femmina (il maschio non punge) dopo aver nutrito le uova nel proprio addome con il sangue aspirato, riposa per circa 24 ore, tempo sufficiente alla scomparsa del virus dall'insetto madre. Anche qualora la zanzara punga due individui in successione di cui il primo sieropositivo, la possibilità di contagio (trasmissione meccanica) è nulla perché il canale attraverso cui viene iniettata la saliva e quello attraverso il quale viene prelevato il sangue sono due condotti differenti, non in comunicazione tra di loro. Un discorso analogo può essere fatto anche per altri artropodi ematofagi come pulci, zecche e cimici.


    Prevenzione

    Profilassi post-esposizione

    In caso di possibile esposizione al virus, subito dopo un evento a rischio in base alle vie di trasmissione appena descritte, è possibile sottoporsi ad un particolare trattamento farmacologico noto come profilassi post-esposizione, in grado di ridurre notevolmente le probabilità di contagio, se applicato correttamente e nei tempi appropriati.


    Cura

    Al momento non si guarisce dall'HIV o dall'AIDS e non esistono vaccini. L'infezione da HIV porta all'AIDS ed, alla fine, al decesso. Tuttavia nei paesi occidentali la maggior parte dei pazienti sopravvive per molti anni dopo la diagnosi grazie alla disponibilità sul mercato della terapia antiretrovirale ad elevata attività (Highly Active Antiretroviral Therapy o HAART). In mancanza della HAART, il passaggio dall'infezione da HIV all'AIDS si verifica in un arco di tempo che va dai 9 ai dieci anni e il tasso medio di sopravvivenza dopo che si sviluppa l'AIDS è di 9.2 mesi (Morgan e altri, 2002b). La HAART aumenta notevolmente il tempo che intercorre dalla diagnosi alla morte mentre continua la ricerca volta allo sviluppo di nuovi farmaci e di vaccini.
    Le migliori possibilità offerte attualmente dalla HAART consistono in combinazioni o "cocktail" di farmaci in gruppi di almeno tre medicinali appartenenti ad almeno due famiglie, o "classi" di agenti antiretrovirali. I regimi tipici consistono in due analoghi nucleosidici della trascrittasi inversa (nucleoside analogue reverse transcriptase inhibitors, NRTI) insieme a un inibitore della proteasi oppure un analogo non nucleosidico della trascrittasi inversa (non nucleoside reverse transcriptase inhibitor, NNRTI).
    I trattamenti antiretrovirali, congiuntamente alle cure mirate alla prevenzione delle infezioni che approfittano delle vulnerabilità create dall'AIDS hanno avuto un certo ruolo nel ritardare l'insorgenza delle complicanze associate all'AIDS, riducendo i sintomi ed estendendo la vita dei pazienti. Negli ultimi dieci anni si è riusciti a prolungare ed a migliorare la qualità di vita delle persone affette da AIDS con risultati notevoli.
    Tuttavia, le linee guida per il trattamento cambiano costantemente. Le linee guida attuali per la terapia antiretrovirale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità riflettono i cambiamenti apportati alle linee-guida nel 2003 poiché in strutture in cui le risorse a disposizione sono limitate (per es. nei paesi in via di sviluppo) ad adulti e adolescenti infettati dall'HIV si raccomanda di iniziare a sottoporsi alla terapia ARV (antiretrovirale) quando l'infezione da HIV sia confermata e sia presente una delle seguenti condizioni:

    Infezione da HIV in fase avanzata:
    Fase 4 dell'infezione da HIV (secondo le norme OMS), a prescindere dalla percentuale di linfociti T di tipo CD4+;
    Fase 3 dell'infezione da HIV (secondo le norme OMS) attuando trattamenti definiti in base al tasso rilevato di linfociti T di tipo CD4 quando questo risulti inferione ai 350/µl;
    Fase 1 o 2 dell'infezione da HIV (secondo le norme OMS) attuando trattamenti definiti in base al quantitativo rilevato di linfociti T di tipo CD4+, quando questo risulti inferiore a 200/µl.

    Lo U.S. Department of Health and Human Services (Dipartimento della Sanità e dei Servizi Sociali degli Stati Uniti), l'agenzia federale responsabile del controllo delle politiche sull'HIV/AIDS negli Stati Uniti, ha reso noto in data 6 ottobre 2005 quanto segue:

    Tutti i pazienti con precedenti di patologie da cui si desume l'effetto dell'AIDS o con sintomi severi di infezione da HIV a prescindere dal loro tasso di linfociti T di tipo CD4+ devono venir trattati con la ART (terapia antiretrovirale).
    La terapia antiretrovirale è anche consigliata per i pazienti asintomatici con una conta di linfociti T tipo CD4+ inferiore a 200/µl;
    I pazienti asintomatici con percentuale di linfociti T tipo CD4+ maggiore di 201-350/µl debbono ricevere cure dopo una valutazione rischio-beneficio ed in accordo con i desideri del paziente;
    Per i pazienti asintomatici con un tasso di linfociti T tipo CD4+ superiore a 350/µl e con HIV RNA nel plasma maggiore a 100,000 copie/ml la maggior parte dei medici rimandano le misure terapeutiche ma secondo alcuni si potrebbe dare il via al trattamento.
    Si raccomanda di differire la terapia per i pazienti con un tasso di linfociti T tipo CD4+ superiore a >350/µl con RNA HIV inferiore a 100.000 copie/ml.

    Il regime preferenziale con cui iniziare è uno dei due seguenti:

    enfavirez + lamivudina o emtricitabina + zidovudina o tenofovir; altrimenti
    lopinavir rafforzato da ritonavir + zidovudina + lamivudina o emtricitabine.

    Inoltre, il DHHS consiglia ai dottori di accertare la carica virale, la rapidità del declino dei linfociti CD4+ e il grado di risposta del paziente nel decidere quando iniziare il trattamento.
    Ci sono non poche preoccupazioni sui regimi antiretrovirali. Le medicine possono avere seri effetti collaterali. I regimi possono essere complessi, e imporre al paziente di assumere pillole diverse volte al giorno. Se il paziente non assume la terapia correttamente, può svilupparsi una certa resistenza al farmaco. Inoltre, i farmaci retrovirali sono costosi e la maggior parte degli individui infetti nel mondo non hanno accesso alle medicine e ai trattamenti per l'HIV e l'AIDS.
    La ricerca volta a migliorare i trattamenti attuali si occupa di diminuire gli effetti collaterali degli attuali medicinali, semplificare i regimi farmacologici per migliorarne l'effetto e determinare l'ordine ottimale tra una cura e l'altra per contenere la resistenza ai farmaci.
    Da quando l'AIDS è entrato nella coscienza collettiva sono state utilizzate diverse forme di medicina alternativa per cercare di curare i suoi sintomi. Nel primo decennio dell'epidemia quando nessuna cura convenzionale era disponibile, molte persone affette da AIDS hanno sperimentato terapie alternative (massaggio, medicine a base di erbe e fiori, l'agopuntura). Tuttavia, nessuna di queste ha dimostrato di avere alcun effetto positivo nel trattamento dell'HIV.


    Test HIV

    Quasi la metà delle persone infette da HIV non sa di esserlo finché non viene loro diagnosticato l'AIDS. I kit per il test dell'HIV sono usati per monitorare il sangue dei donatori e i derivati dal sangue, ma anche per diagnosticare, curare e sottoporre a controlli pazienti con HIV. I test dell'HIV rilevano la presenza di anticorpi HIV, di antigeni HIV o dell'HIV nel siero, plasma, nei fluidi orali, su macchie di sangue essiccato o nell'urina dei pazienti.

    Origine dell'HIV/AIDS

    La data ufficiale che segna l'inizio dell'epidemia dell'AIDS è il 5 giugno 1981, quando il centro per il monitoraggio e la prevenzione delle malattie degli Stati Uniti identificò un'epidemia di pneumocistosi polmonare dovute a pneumocystis carinii (ora riclassificato come Pneumocystis jirovecii) in cinque uomini gay di Los Angeles. Benché la sindrome fosse stata chiamata inizialmente GRID, o Gay-Related Immune Deficiency (cioè immunodeficienza dei gay), le autorità sanitarie si accorsero ben presto che quasi metà della popolazione in cui era stata riscontrata non era omosessuale. Nel 1982 il CDC introdusse il termine AIDS per descrivere più esaustivamente la sindrome appena scoperta.

    Tre dei primi casi noti di infezione da HIV risalgono a:

    Un campione di plasma estratto nel 1959 da un adulto maschio residente nell'attuale Repubblica Democratica del Congo.
    Campioni di tessuto contenenti l'HIV, estratto da un adolescente di nazionalità statunitense morto a Saint Louis nel 1969.
    Campioni di tessuto contenenti l'HIV estratti da un marinaio norvegese morto intorno al 1976.

    Sono due le specie di HIV che infettano gli esseri umani: l'HIV-1 e l'HIV-2. L'HIV-1 è più virulento e si trasmette più facilmente. L'HIV-1 è la fonte della maggioranza delle infezioni da HIV nel mondo, mentre l'HIV-2 si trasmette meno facilmente, è più antico ed è per lo più diffuso nell'Africa occidentale. Sia l'HIV-1 sia l'HIV-2 derivano da virus analoghi che infettano i primati. L'HIV-1 deriva da un virus dello Scimpanzé comune (Pan troglodytes troglodytes). L'origine dell'HIV-2 è attribuita con certezza al Cercocebus atys (ing. Sooty Mangabey), un cercopiteco presente in Guinea Bissau, Gabon e Camerun


    Ultime Scoperte

    Il 10% della popolazione europea presenta una variante genetica, la d32, che produce un numero scarso di proteine-recettori CCR5 sui globuli bianchi. Ciò non provoca nessun disturbo alla salute, tanto che la grande diffusione della variante d32 è stata notata solo dopo la comparsa dell'AIDS, in quanto chi ha meno recettori CCR5 sui globuli bianchi corre meno rischi di essere infettato dal virus HIV. La genetista Alison Galvani, della Yale University, ipotizza che la variante genetica che protegge dall'HIV protegga anche da un altro killer, il vaiolo, un virus che condivide importanti caratteristiche con l'HIV. Analizzando la diffusione del vaiolo in Europa la ricercatrice ha scoperto che essa coincide con l'attuale prevalenza della variante D32 nel continente. Questa mutazione, quindi, potrebbe essere stata selezionata in passato come difesa contro un virus per poi venire utile in seguito contro un altro.




    Fonte: wikipedia
     
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