G. Leopardi: A sè stesso - Parafrasi, Analisi del testo e Commento

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  1. punKt89
     
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    G. Leopardi: A sè stesso - Parafrasi, Analisi del testo e Commento



    Parafrasi

    Ora, o mio cuore stanco, riposerai ("poserai") per sempre. Svanì ("perì") l'ultima illusione ("inganno estremo") che avevo creduto eterna ("ch'eterno io mi credei"). Svanì ("perì"). Sento profondamente ("ben sento") che in me e in te ("in noi") non solo la speranza ma anche il desiderio di care illusioni ("cari inganni") è spento. Riposa ("posa") per sempre. Troppo hai sofferto ("assai palpitasti"). Non c'è nessuna cosa che valga ("non val cosa nessuna") i tuoi palpiti ("moti"), né il mondo è degno dei [tuoi] sospiri. La vita non è altro che amarezza ("amaro") e noia; e spregevole ("fango") è il mondo. Calmati ("t'acqueta") ormai. Rinuncia definitivamente ad ogni speranza ("dispera l'ultima volta"). Agli uomini il destino donò solo la morte. Ormai [o mio cuore] disprezza te stesso, la natura, il potere perverso ("brutto") che domina occultamente a danno di tutto "a comun danno imper") e l'infinita vanità dell'universo ("tutto").



    Analisi Del testo

    v. 1 Riposerai ("poserai"): posa è più forte; rende meglio l'idea dell'abbandono ed è anche più freddo, impersonale: anche un oggetto si può posare.
    v. 2 Svanì ("perì"): perire è più forte; è un verbo che solitamente si usa per gli uomini, per cui la morte di questa illusione provoca dolore come la morte di una persona.
    v. 2 Illusione ("inganno"): è tipico del linguaggio leopardiano (cfr. Il Risorgimento, strofa 14, vv 5-6: "Proprii mi diede i palpiti, / natura, e i dolci inganni"; e Le Ricordanze, strofa 4, vv 1-2: "O speranze, speranze; ameni inganni / della mia prima età".)
    v. 3 Che avevo creduto eterna ("ch'eterno io mi credei"): qui credo sia possibile una duplice lettura. Se al "mi" si attribuisce un valore pleonastico (come accade nelle Ricordanze, vv 22-23: "che varcare un giorno / io mi pensava") è chiaramente il poeta che reputa l'inganno eterno ("ch'eterno io credei"). Ma lasciando al "mi" il suo significato la lettura diventa "ch'eterno io mi credei", cioè è il poeta stesso a creder-si eterno. In realtà questa seconda interpretazione è strettamente legata alla prima nel senso che l'io del poeta si identifica con la propria illusione.
    vv. 6-7 Troppo hai sofferto ("assai palpitasti"): si poteva anche intendere più letteralmente "troppo battesti", cioè " hai vissuto a lungo", ma nel contesto è chiaro il riferimento al dolore.
    v. 10 Spregevole ("fango"): fango ha un valore più forte perchè non è un pensiero, ma un'immagine molto concreta.
    vv. 11-12 Rinuncia definitivamente ad ogni speranza ("dispera l'ultima volta"): disperare va inteso nel senso letterale "di-sperare", cioè perdere, abbandonare la speranza. L'ultima volta, cioè definitivamente.
    v. 14 Perverso ("brutto"): brutto è più forte perché rimanda ad un'immagine, a qualcosa di spaventoso.
    v. 16 Universo ("tutto"): universo è riduttivo, perché il poeta non si riferisce solo a qualcosa di materiale, ma proprio a tutto ("illusioni, speranze").


    La lirica appartiene all’ultima fase della produzione poetica di Leopardi; sulla datazione i critici non sono d’accordo ma, in base al contenuto e ad alcuni riferimenti rintracciati nelle epistole del tempo, sembra plausibile una collocazione tra il 1833 e il 1835, gli ultimi anni della vita del poeta. E’ inserita nel cosiddetto “ciclo di Aspasia”, un gruppo di cinque componimenti legati dalla medesima ispirazione, quella cioè generata dal sentimento per Fanny Torgioni Tozzetti, una dama conosciuta durante il soggiorno a Firenze. Si può peraltro affermare che la lirica, dopo l’appassionata celebrazione dell’amore nel Pensiero dominante, unica , seppur illusoria, consolazione alla vita, costituisce la definitiva rinuncia a qualsivoglia forma di piacere, spazzato via dall’infinita vanità del tutto. Ma quello che maggiormente colpisce in questo componimento non è tanto il livello tematico, quanto quello formale: nell’ultima fase della sua vita, infatti, Leopardi non si limita ad elaborare quell’etica laica che gli consente di superare l’indagine del rapporto uomo-natura per affrontare, come afferma il Binni, il tema dell’apertura energica alla socialità, ma soprattutto dà vita ad una nuova forma poetica che esprime, in maniera agguerrita e lapidaria, l’evoluzione del suo pensiero.
    Il testo si può suddividere in tre parti sulla base di uno schema metrico che propone la ripetizione di tre gruppi di versi, i primi due speculari, con un settenario, due endecasillabi, un settenario e un endecasillabo, l’ultimo variato solamente dall’aggiunta di un settenario finale. La ripartizione è confermata anche a livello lessicale, per la presenza, ai versi 1, 6 e 11, dei verbi “poserai”, “posa” e “t’acqueta”, in ripetizione i primi due e in rapporto sinonimico con l’ultimo, a sua volta in climax ascendente continuato poi dai due imperativi seguenti, il “dispera” del verso 11 e il “disprezza” del verso 13. Ciascuno delle tre sezioni si apre con un’invocazione al “cuore” del poeta, segue poi la causa della medesima e, infine, la constatazione di una negatività ormai assoluta e irrevo



    Commento

    La lirica è siognificatica di un aspetto del tutto particolare della poetica leopardiana, meturato negli ultimi anni della vita del poeta e, per la sua novità, messo in particolare rilievo dagli studiosi.
    In alcune liriche degli ultimi anni, infatti, egli sembra assumere nei confronti della vita, del destino e del dolore un atteggiamento più deciso e più combattivo, "eroico".
    Leopardi riconosce con disperata lucidità la fine di tutte le sue illusioni, ma invece di abbandonarsi ad uno stanco e desolato lamento reagisce con accenti quasi di ribellione, ammonendo se stesso a non credere mai più alle lusinghe dell'amore: con lucida e razionale presa di coscienza della propria condizione di infelicità, che corrisponde alla condizione di tutti gli uomini, egli accetta coraggiosamente la realtà e si dispone ad affrontare la propria sorte di dolore con una decisa affermazione di se stesso, della propria dignità e del proprio valore.
    La lingua e lo stile riflettono questo nuovo atteggiamento del poeta. Il testo, infatti, è caratterizzato da una lingua essenziale e incisiva, privo di notazioni descrittive o sentimentali. Il ritmo è aspro e martellante: i versi sono spezzati dal rapido succedersi di periodi brevi e fitti e da numerosi enjambements. Il tono dell'insieme, più che lirico, risulta epigrafico e sentenzioso.

    Il poeta si rivolge al proprio cuore e lo invita a smettere di soffrire. L'ultima delusione che ha patito - gli dice - sia veramente l'ultima, perchè al mondo non c'è nulla per cui valga la pena di soffrire.
    Leopardi compose questa lirica fra il 1833 e il 1835, quando scoprì che la donna che amava non provava per lui alcun sentimento. Ma l'amore, o meglio il crollo di ogni speranza amorosa, è solo l'occasione del canto.
    Nella lirica, il poeta esprime più che altro la volontà di non lasciarsi più illudere da nulla e di affrontare il destino con dignità e fermezza, nella consapevolezza dell'assoluta vanità di tutto ciò che lo circonda.



     
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  2. Irene Desorart Creaz
     
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    la delusione per lamore verso fanny induce il poeta a.<''<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<'
     
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    風のささやき

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    Sarebe interessante sapere il continuo del tuo commento, che la "<" lascia molta fantasia al commento.

    p.s.: se poi ti presenti anche, come da buon gusto e regolamento, non sarebbe male.
     
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2 replies since 27/2/2009, 15:48   68449 views
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